I Volti Nuovi del Gruppo, Matteo Draperi: “Sogno di vincere la Strade Bianche in una giornata di maltempo”

Quattordicesimo appuntamento con I Volti Nuovi del Gruppo 2016, la rubrica che presenta i neoprofessionisti italiani della nuova stagione. Questa sera abbiamo con noi Matteo Draperi. Nato a Cuneo il 17 gennaio del 1991, passa professionista con la Southeast – Venezuela con la quale ha avuto già modo di esordire  fra i professionisti in queste prime settimane dell’anno alla Vuelta al Tachira 2016. Reduce da due stagioni con la maglia della U.C.Monaco in Francia, Draperi è un passista veloce adatto alle brevi salite.

Come ti sei avvicinato al ciclismo?
Mio padre era un cicloamatore e andando in bici con lui mi sono appassionato. Ogni anno andavamo a vedere alcune tappe del Giro e del Tour. Per me era come Natale e il compleanno messi insieme. Diventavo letteralmente matto. Percorrere il mattino parte delle tappe in bici a poche ore dal passaggio della corsa, era per me il non plus ultra. Ero ancora solo un bambino, ma l’idea di diventare un corridore e poter forse un giorno passare su quelle strade con un numero sulla schiena mi faceva sognare! Ed è così che cominciai a fare garette di mtb all’età di 10 anni.

Dovendoti descrivere, che tipo di corridore sei?
Sono un passista veloce adatto alle brevi salite. Se non cado, in discesa me la cavo e se piove e fa freddo rendo meglio.

Hai seguito un percorso diverso rispetto a quello di molti tuoi coetanei, militando in formazioni giovanili francesi. Che ricordo serbi di questa esperienza? 
Nel complesso ho un ricordo davvero bellissimo dell’esperienza francese. In totale ho corso tre anni in Francia, ma senz’ombra di dubbio il primo anno è stato quello in cui ho vissuto l’esperienza più positiva. Ero all’ultimo anno da Under23 e quell’anno corsi con la squadra Under23 della AG2R La Mondiale, La Chambery Cyclisme Formation. I due anni successivi invece, essendo passato élite dovetti cambiare e andai alla UC Monaco. In queste due annate ho conseguito buoni risultati e ho un bellissimo ricordo di tutti i compagni di squadra, ma per il resto preferisco non commentare.
I primi 3 anni da Under23 li ho però corsi in Italia con la Brunero di Cirié e il mitico direttore sportivo Beppe Damilano. Una squadra a cui devo molto, che mi permise tra l’altro di continuare tranquillamente con gli studi in economia. Quando passai di categoria, attorno a me c’erano aspettative. Purtroppo a causa di un problema alla schiena, avevo rendimenti decisamente altalenanti, che però non fecero mai venir meno la fiducia della squadra nei miei confronti. Dopo due anni di patimenti però dovetti per forza subire un’operazione alla colonna vertebrale che mi fece perdere praticamente un anno, ma che mi portò finalmente alla risoluzione dei miei problemi fisici. L’anno successivo all’operazione ero ormai al 4° anno Under e decisi appunto di cambiare completamente aria e di ricominciare da zero in Francia, sotto consiglio del mio amico italo-francese Nico Gerbino, che mi mise in contatto con la squadra under23 Chambery Cyclisme Formation. Una realtà questa che mi ha dato molto e mi ha permesso di progredire. Un ambiente rilassato, ma allo stesso tempo professionale e preparato, con un programma di corse molto vario ed internazionale. Il tutto costantemente affiancato dagli studi. Tassello questo fondamentale ed inderogabile per poter far parte della squadra.

Che differenza principale hai trovato fra il ciclismo giovanile in Italia e quello in Francia?
Nel complesso, l’ambiente ciclistico giovanile francese under23/élite è per diversi aspetti molto differente da quello italiano. Prima di tutto è suddiviso in sottocategorie. A seconda dei punti che ogni corridore realizza, il corridore appartiene alla 1ª, 2ª o 3ª categoria. Di conseguenza le gare sono organizzate per categoria di livello. Questo aspetto a mio parere è di importanza rilevante in quanto permette al corridore neo-under23 di poter affrontare un percorso di crescita graduale e programmato, senza dover incorrere nel pericolo di bruciarsi prematuramente o il dover dire basta con il ciclismo a causa di demotivazione dovuta alla momentanea assenza di risultato o la difficoltà di abbinare studi e attività sportiva. Inoltre, lo stile di corsa francese è molto differente da quello italiano. Mentalità, percorsi e condizioni atmosferiche sono i principali motivi di questo differente modo di affrontare le corse. Cosa che per un corridore italiano può più o meno piacere, questo è soggettivo… Ma di certo sono corse che se affrontate da un corridore italiano, vanno per certi aspetti a completarlo ed arricchirlo.

La consiglieresti ad un altro giovane che si avvicina al professionismo l’esperienza all’estero?
A mio parere non è mai bello indirizzare un giovane ciclista italiano ad andare a correre all’estero, ma mi sento di poter dire che per quanto riguarda soprattutto i primi anni da Under23, se un corridore ne ha la possibilità, farebbe una buona esperienza. Logicamente poi le squadre in Francia come in Italia, non sono tutte uguali. Io per primo ho militato in due squadre tra di loro molto differenti…. Diciamo che occorre avere anche un po’ di fortuna al momento della scelta.

Qual è il ricordo più bello che hai della tua carriera giovanile?
Il ricordo più bello è legato alla prima vittoria da Under23 dopo l’operazione alla schiena. Era l’anno che correvo con la Chambery Cyclisme Formation. Fino a quel momento tutto era un’incognita. Dopo quella vittoria le cose per me sono cambiate.

Per quanto riguarda questa stagione, hai già esordito alla Vuelta al Tachira. Che effetto ti ha fatto?
A dire la verità gare 2.2 ne avevo già fatte in passato. Certo non da professionista e quindi nella prima tappa l’emozione era tanta.

Hai definito il calendario per i prossimi appuntamenti?
Purtroppo ad inizio febbraio ho fatto una brutta caduta in allenamento e mi sono fratturato la mandibola. Questo fatto ha scombussolato un po’ tutti i programmi. Ora mi sto riprendendo bene, ma visto lo stop per la frattura e un’infiammazione a un ginocchio riportata dalla Vuelta al Tachira, il tutto è da riprogrammare purtroppo… Un inizio così così, ma per fortuna siamo solo all’inizio e le occasioni non mancheranno.

Che ambiente hai trovato in squadra?
Come ambiente è davvero il top! L’armonia è una costante e ho a che fare solo con persone dirette. Per cominciare non potevo chiedere di meglio.

Cosa ti aspetti da questa prima stagione tra i professionisti?
Prima di tutto dovrò mettermi a disposizione al meglio dei compagni e imparare molto. Se riuscirò a far queste due cose, credo che il resto verrà da sé…

Il tuo sogno nel cassetto da corridore?
Vincere la Strade Bianche in una giornata di maltempo.

C’è qualcuno al quale ti ispiri nel modo di correre?
Pantani è sempre stato il mio idolo. Addirittura quando ero piccolo tifavo Milan perché lui era del Milan… Anche se ora sono un fedelissimo granata. A scuola avevo i compagni che mettevano le maglie da calcio, mentre io tutto soddisfatto e fiero ci andavo con la mitica maglia della Mercatone Uno, usandola anche come portapenne. Penne, matite e righello tutto nelle tasche dietro sulla schiena. La cosa migliore era quando la maestra mi chiamava alla lavagna. Allora mi intascavo tutti i gessetti colorati nelle tasche e non appena potevo buttavo la mano nella tasca dietro e cambiavo gesso per far vedere quanto era bella e funzionale la maglia dei ciclisti e di Pantani in particolare.

Un tuo pregio e un difetto?
Vado forte in curva finché non cado (sorride, ndr)…

Ringraziamo Matteo per essere stato con noi. Dalla redazione di SpazioCiclismo un grande in bocca al lupo per la sua carriera e la sua prima stagione tra i professionisti.

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